Anno 2 N°5Attualità

Il giovane barbiere foggiano che sfidò Mussolini in nome della libertà e dell’uguaglianza

La grande storia del movimento anarchico è costellata di vicende che, molte volte, hanno lasciato il segno. In vicende  olitiche, in episodi in cui la bruta violenza non ha mai piegato l’avversario, in sogni infranti all’alba di un nuovo giorno che per tanti non è mai arrivato.
E di foggiani, attratti dal pensiero anarchico, ve ne sono stati parecchi dei quali – nel bene e nel male – si sono anche accesi riflettori della storia e della cronaca internazionale. Dei più noti, le tracce sono tuttora presenti nei libri di storia: Michele Angiolillo e Nicola Sacco su tutti. Ma gli altri? Perché nessuno indaga e approfondisce l’importanza e il ruolo (talvolta oscuro) che ebbero altri anarchici di Capitanata come Carmelo Palladino, Emilio Zuccarini, Alessandro d’Atri e Sergio Di Modugno? Di alcuni di questi ho brevemente descritto le vite nel mio recente “Dizionario Biografico di Capitanata”, una miniera che gli stanchi giornalisti pantofolai foggiani continuano ad ignorare, prediligendo il gossip politico e il ciarpame pallonaro. Nel frattempo, emersa dall’oblìo, è saltata fuori un’altra bella figura di anarchico, uno di quelli che continuerebbe a vivere nel silenzio se non ci fosse stata la tenacia di un suo nipote, Orlando Dùria, che per anni ha raccolto – dalla Liguria a Roma – quel che riguardava l’illustre e sfortunato parente.
Già, chi era Antonio Dùria per avergli il Comune di Foggia, nel giro di un anno, prima intestato una strada di periferia e poi scoperta una bella targa, sull’esterno della casa natale (un tempo era una “grotta”) di vico Fornello?
Di famiglia modesta ma dignitosa, era nato a Foggia il 13 novembre 1904, nei pressi dell’attuale Isola pedonale di corso V. Emanuele. Di professione barbiere, entrò giovanissimo nelle fila del movimento anarchico, contrastando da subito le violenze e le angherìe del Fascismo.
Come accade anche oggi, l’allora regime aveva l’abitudine di sminuire e di apostrofare l’avversario. Ecco come la polizia fascista descriveva fisicamente Dùria: «…Un giovane dall’andatura piuttosto lenta e dall’espressione truce, vestito con abbigliamento abituale decente». E per sminuirne il livello culturale, lo dipingeva come una persona che «non è capace di scrivere articoli giornalistici, né di fare conferenze».
In realtà, il giovane barbiere anarchico foggiano, come rileva opportunamente suo nipote Orlando, non poteva essere considerato un semianalfabeta come volevano i fascisti, trattandosi di un rivoluzionario che aveva strettissimi rapporti col grande Errico Malatesta, con il quale sin dal 1924 aveva iniziato a collaborare. Era anche abbonato, da molti anni, al quindicinale “Pensiero e Volontà” sul quale aveva pure pubblicato qualche intervento, ed era anche dotato di una certa intraprendenza se, emigrato ancora giovane a Genova, aveva avviato nella vicina Rivarolo Ligure ben due sale da barba negli anni ’30. Qui lavorò come barbiere e, contemporaneamente, partecipò alle attività del movimento anarchico usando, per precauzione, lo pseudonimo Antonio Dorini. Ma come sostenere i valori fondamentali dell’anarchia (libertà, uguaglianza, solidarietà) in un periodo storico – tragico per l’Italia e l’Europa – senza subire il peso della repressione?
Le “risposte”, infatti, non tardarono ad arrivare. Prima con misure di schedatura, poi di controllo, quindi con le maniere forti, dirette ed indirette: «È alquanto squilibrato di mente e pericoloso per l’ordine pubblico. Il Duria viene attentamente vigilato». Così lo inquadrano negli schedari della Questura di Genova, suffragati dalle informazioni provenienti da quella di Foggia. Quest’opera di controllo durò fino alla morte, prematura e ingiusta, che lo colse la mattina del 4 settembre 1937 a nemmeno 33 anni. La giovane vedova, incinta di un bimbo, restò da sola, ad allevare una bambina di pochi anni.
Una morte le cui circostanze non furono mai chiarite. Ufficialmente l’anarchico foggiano sarebbe deceduto, all’Ospedale Civile di Sampierdarena, in seguito ad una tubercolosi polmonare. Altre fonti, invece, chiarirono che la TBC sarebbe sopraggiunta per il nefasto clima in cui da tempo era costretto a sopravvivere, un clima fatto di angherìe, percosse e sevizie provocate dai fascisti.
La vicenda storica di Antonio Dùria è ampiamente documentata presso il Casellario politico centrale di Roma e sabato 11 dicembre 2010, 73 anni dopo, il Comune di Foggia ha scoperto, in vico Fornello, a due passi da via Altamura, la lapide che degnamente lo ricorda, alla presenza dei familiari, dell’Assessore comunale alla Cultura Rocco Laricchiuta, di esponenti della politica, della cultura e dell’associazionismo. Nessun altro giornalista era presente… (m.d.t.)