Il pane, da millenni, accompagna l’uomo. Farina, acqua, lievito e sale quanto basta. Detto così, la sua preparazione sembrerebbe un gioco da ragazzi. E invece è un’arte, che non riesce sempre a tutti. Di sicuro sappiamo distinguere un buon panificatore da uno scarso, un ottimo pane da uno scadente, un tipo di pagnotta da un altro. Nel corso dei secoli, e col modificarsi di alcune abitudini, in Puglia e in Capitanata si è anche trasformato il gusto: il pane, una volta preparato con farina bianca, o comunque con quelle più pregiate, era considerato roba da ricchi, a differenza di quello fatto con farine scure, destinato alle classi meno abbienti e ai contadini. Oggi, in buona parte, è in atto una sorta di “rivoluzione del gusto”, col pane povero di una volta sempre più ricercato. Ma in Capitanata – dove Foggia ha, forse, il privilegio, come nessun’altra città italiana, di poter offrire almeno una dozzina di differenti tipi di pane – avete idea di quanti e quali pani ancora oggi si preparino e arrivino sulle nostre tavole, imbandite o scarne che siano? Molti di più di quelli che credevate. E questo nostro breve tour – per il quale abbiamo chiesto la collaborazione di Saverio de Magistris, Michele Panunzio e Maria Costantina Mormando, che ringraziamo proverà a dimostrarlo, abbozzando una piccola geografia del pane di Capitanata, che non è solo simbolo di gusto, ma, soprattutto, di civiltà e cultura, come dimostrano i casi di Monte Sant’Angelo e Orsara di Puglia, dove l’attenzione per questo prodotto alimentare ha assunto il carattere della specialità. Abbiamo volutamente escluso da questo primo viaggio, il “pancotto”, una vera prelibatezza culinaria, anche questo fino a qualche anno fa considerato cibo «da poveri» ed oggi assurto a vero principe della tavola, anche in quelle dei migliori e più gettonati chef di Capitanata.
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