Nuovi nomadi alla fine del viaggio
‘Diomede’ ha incontrato, nella sua Manfredonia, Nicola Spadafranca, l’autore del rèportage fotografico Nuovi nomadi alla fine del viaggio. Extracomunitari, o più correttamente migranti, ai quali diamo una parvenza di ospitalità e che ci restituiscono ricchezza, quella che a cifre sempre maggiori sta dentro il nostro PIL. Persone che, pur di strappare un lavoro qualunque, accettano di vivere in condizioni disumane. Eppure, nonostante questo e come dimostra lo sguardo testimone di Spadafranca, nei loro sguardi c’è sempre qualcosa di buono e di sincero.
Un’occasione, allora, per farci raccontare questa sua esperienza fotografica sul territorio che ha prodotto una mostra, uno spettacolo teatrale ed ora, a chiusura del progetto, un libro fotografico che contiene molti degli splendidi bianco/neri scattati dall’autore nel suo vagabondare tra le campagne della nostra provincia. Il lavoro di Spadafranca ha contribuito non poco alla benemerenza di AFI (Artista della Fotografia Italiana) della quale è stato insignito nel recente Convegno nazionale della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche svoltosi a Massa Carrara.
Come è nata l’idea del progetto fotografico? E quali sono le motivazioni che ti hanno spinto ad intraprendere questo viaggio in cerca dei nuovi nomadi?
Nel settembre 2006 avevo letto l’articolo di Fabrizio Gatti pubblicato sull’Espresso dal titolo, di per sé drammatico, Io schiavo in Puglia. Un articolo sconcertante, corredato da foto quasi di circostanza. L’abbinamento mi apparve stridente, mentre i fatti narrati sembravano realtà lontanissime, se non inesistenti. Mi sono chiesto perché Gatti avesse usato quelle foto, molto leggere, per lo più di gente dedita al lavoro nei campi, compreso lui. Perché non bastavano le parole per descrivere la drammaticità di quanto accadeva sulla mia terra? A rifletterci, una delle caratteristiche del linguaggio visivo, ovvero della fotografia, è la sua potenza evocativa rispetto alle parole (“L’uomo pensa per immagini”, A. Camus). Ho dedotto così che il nostro territorio dovesse essere raccontato per immagini. Da parte mia, attraverso la fotografia posso conoscere il mondo, ed è un modo per viverlo e scoprirlo. Ho deciso così di fotografare il mio territorio. Un’indagine fotografica, quindi, sul territorio e sulla sua evoluzione anche rispetto ai miei vivissimi ricordi d’infanzia. La campagna ed i suoi riti/miti io li conoscevo bene. Ripercorrendo tali sentieri, sulle mie stesse tracce, ho avvertito sempre più la presenza di nuovi abitanti e la mia curiosità è cresciuta. Ho voluto affrontare questa realtà in prima persona, senza idee preconcette, accantonando tutto quello che avevo letto, smontando ogni tipo di sovrastruttura mentale. E sono partito senza darmi tempi di produzione, visto che era una mia ricerca personale, armato soltanto di una fotocamera, un taccuino, un libro e della mia passione.
Persone nei luoghi e luoghi di persone. È questa la chiave di volta del tuo lavoro fotografico?
Indubbiamente l’incontro con la gente è stato il punto nevralgico di questo mio viaggio. Ho incontrato persone complesse, piene di bisogni, lontane dai propri paesi ed in situazioni di vita complicate, ma anche con molta voglia di gioire, con una loro dignità assoluta che ho provato a raccontare attraverso le mie fotografie. Il cambiamento della popolazione, diciamo così rurale, l’avvertivo anche nella pratica quotidiana. Andando a Foggia, notavo file di persone camminare lungo i bordi della strada e volevo sapere chi fossero questi nuovi abitanti, questi nuovi nomadi del nostro territorio. Sono stato con loro, nei loro casolari, ho condiviso molte giornate del loro lavoro e sono diventato amico di alcuni di loro. Non era mia intenzione fare un reportage d’assalto, bensì raccontare queste persone dal di dentro, attraverso la loro quotidianità e rispettando il loro volere. Ho sempre chiesto a tutti se potevo fotografarli ed ho rispettato le loro decisioni. Di qui la scelta di scattare da vicino, ma senza sgomitare; i francesi direbbero “foto a’ la leica” intendendo con questo il rifiuto dell’uso della focale estrema per stupire, che non vuol dire non usarla, ma non usarla chiassosamente.
Ho sempre avvertito la loro dignità, anche la loro gioia nella complessità della loro vita. Questo alla fine forse è diventato il filo conduttore del mio viaggio fotografico. Quando ho cominciato a far vedere le foto a qualche osservatore più esperto, questo aspetto è stato recepito immediatamente: mi dicevano sempre che il valore aggiunto del mio lavoro fotografico era il fatto che fosse un reportage nato dall’interno e non dall’esterno del territorio a cui appartiene. Le foto narrano le loro storie, i loro silenzi, i loro sguardi, cercando di catturare quest’empatia, l’aria che circonda la loro esistenza dalle nostre parti.
Il volume fotografico è il tassello finale di tutta questa operazione, di questo tuo viaggio nel territorio. Come ci sei arrivato. Qual è stato il percorso che ha, per così dire, chiuso il cerchio?
Tutto il progetto è stato piuttosto complesso. Io ho scattato una grande quantità di foto: di 3.600 scatti ne ho selezionati circa 60 con l’aiuto di Carla, mia moglie, e le ho proposte in visione ad alcuni amici dei quali mi fidavo. Queste persone hanno molto apprezzato il risultato fotografico, così l’ho presentato all’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Manfredonia che è sensibilissimo a questi argomenti. Il Comune mi ha sùbito proposto una mostra che mi ha non poco preoccupato per i tempi brevi imposti e, lavorando con il bianco/nero in camera oscura, tempi brevi non se ne hanno.
La mostra è stata allestita ed ha promosso uno spettacolo teatrale di supporto alla stessa esposizione. È in quella fase che l’Assessore mi ha chiesto la disponibilità a donare le foto al Comune. Cosa che è avvenuta. Mostra e spettacolo sono state riproposte per le scuole ed “esporta-te”, per così dire, al Teatro degli Atti di Rimini in occasione della Giornata del Rifugiato il 20 giugno 2009. Un’esperienza per me appagante in quanto si avvertiva l’esigenza e l’importanza di fare, con altri mezzi, un’informazione senza fronzoli, in qualche maniera contaminando le espressione artistiche (fotografia, teatro, musica ecc.).
Il libro è stato il prodotto finale di tutto questo percorso condiviso che ha intrecciato altre strade ed altri soggetti. Io ho iniziato da solo questo viaggio nel maggio/giugno 2007, viaggio che nell’agosto 2008 si è incrociato con il Camper del Comune di Manfredonia del progetto Solidarietà in Movimento, ho incontrato anche Medici senza Frontiere… e da quel momento non ho più viaggiato in proprio ma, una volta alla settimana, con il Camper del Comune e l’associazione PASER di Manfredonia. Alla fine c’è stata questa conclusione positiva determinata dalla sensibilità dell’Assessore e del Sindaco, dell’Ufficio dei Servizi Sociali e dell’Ufficio Cultura del Comune. Il volume chiude il cerchio, penso nella maniera migliore possibile e la sua pubblicazione dà soprattutto l’idea di un prodotto finito, di un progetto territoriale concluso.
Il libro fotografico non ha un prezzo di copertina ed è distribuito in modo particolare. Che cosa bisogna fare per averlo? A chi rivolgersi?
Gli Enti e le Associazioni interessate possono contattare direttamente il Comune di Manfredonia. I privati possono richiedere il libro versando un’offerta a favore dell’ Associazione di Volontariato SS. Redentore di Manfredonia che agisce sul territorio a favore dei più deboli, gestendo tra l’altro la mensa per poveri che accoglie per tutto l’anno circa 30 bisognosi al giorno, e lo fa ininterrottamente da 20 anni. Un vero record!